Situato nelle immediate vicinanze del corso terminale del Taro e a pochi passi dal Po, Gramignazzo, terra di “gramigna”, secondo un’interpretazione popolare, un uno dei tanti insediamenti paleolitici che ebbe in età romana un villaggio abitato, come risulta dai reperti di tombe e di monete più volte emersi dal terreno durante fortuite operazioni di scavo.
In età feudale numerosi furono i signori che si alternano nel possesso del paese. Basta ricordare alcuni esponenti della nobilità parmense che lasciarono un impronta nella nostra storia: Pallavicino, Sforza, Cavalcabò, Terzi. I conti Simonetta, che abitarono il paese, costruirono a lato della Chiesa un palazzo che porta il loro nome, ma è accertato che disponevano di altre residenze a Palasone, Torricella, Rigosa e Trecasali. La contessa Paola Simonetta lasciò testimonianza della sua munifica donazione nella chiesa, dove un medaglione in stucco ne ricorda l’impresa costruttiva.
Mancano notizie sul primo palazzo Simonetta, distrutto dall’alluvione del 1880, mentre il secondo, sul lato orientale della chiesa, conserva alcune parti originarie settecentesche: lo scalone, una sala con soffitto a cassettoni e la parte nobile del cancello d’ingresso. Molteplici ristrutturazioni hanno modificato diverse parti dell’interno e dell’esterno col sopralzo del tetto, alterandone la volumetria, che conserva ancora cornici e modanature originali.
Durante l’ultimo conflitto mondiale in un bombardamento aereo (15 dicembre 1944) un grappolo di bombe, che mirava alla distruzione del vicino ponte sul fiume Taro costruito nel 1936, atterrò la chiesa e la torre campanaria.
Nella chiesa vi era un organo Serassi, che andò completamente distrutto.
L’abbattimento quindi per cause belliche della chiesa settecentesca offrì la possibilità di ricostruire (1946-1950) un edificio che rispecchiasse gli ordinamenti del nostro tempo nel fare architettura. Il progetto di ricostruzione, affidato all’arch. Mario Vacca, ricalcò i modelli desunti dal repertorio stilistico romanico-gotico. La presenza della fornace Pizzi, fondata nel 1882, sinistrata durante la guerra e immediatamente riattivata la termine del conflitto, fornì tutta una serie di laterizi di variatissima forma e sagoma, realizzati su disegno del progettista. Si preferì costruire un edificio “in stile” invece di una chiesa moderna anche sotto il profilo liturgico potesse meglio soddisfare esigenze legate alla vita del culto.
La configurazione “monumentale” della chiesa ricalca, sia pure in forma diversa, quella settecentesca. L’impianto volumetrico, a tre navate e abside semicircolare, insiste sulle antiche fondazioni e si sviluppa in altezza una sequenza di volte a crociera che scaricano il loro peso su solidi pilastri contornati in lesene in cotto. Le ampie e slanciate arcate conferiscono allo spazio interno un senso di ardita solennità.
Il grande arcone centrale è alleggerito dalla bucatura di una trifora che sovrasta l’ingresso principale. Ogni cornice è formata da un gioco di sporgenze e rientranze, dalla finezza delle cordonature e delle gole che ricordano quelle delle basiliche medievali, in un serrato e ammirevole equilibrio proporzionale.
Si possono ancora ammirare alcuni dipinti: Madonna con bambino (1741), Presentazione al Tempio (1756), Sant’Antonio Abate (1737), San Giacomo in adorazione della Madonna del Pilastro, le XIV Stazioni della Via Crucis (1950) ed un Battesimo di Gesù.
Di non trascurabile interesse il lineare pulpito ligneo databile alla fine del Settecento.
Luogo di collocazione:
Area verde antistante la parrocchia
Data di collocazione:
Informazione non reperita
Materiali (Generico):
Bronzo, Altro
Materiali (Dettaglio):
Struttura in laterizio rivestito in cemento
Lastra e simboli decorativi in bronzo
Stato di conservazione:
Sufficiente
Ente preposto alla conservazione:
Parrocchia di Gramignazzo
Notizie e contestualizzazione storica:
Ricorda l'epilogo delle forze austro-ungariche che si apprestano a firmare, il 3 novembre 1918, l'Armisitizio di Villa Giusti (località nei pressi di Padova) con l'Italia. Tale trattato entrò effettivamente in vigore solo il giorno seguente alla sua effettiva firma, ma le truppe austriache avevano già interrotto ogni combattimento, motivo per cui si disse anche che gli italiani avevano avuto una facile vittoria. La lastra celebra il valore italiano sottolineando la complessiva inferiorità numerica delle sue truppe alleate (Inghilterra, Francia, America e Cecoslovacchia) rispetto a quelle austro-ungariche, e rende gloria ai corpi d'armata effettivamente impegnati in questi passaggi bellici (4°, 6°,29° corpo).
Come anche tale lastra ricorda, le perdite umane austriache in questo frangente furono elevatissime (30000 morti e feriti e circa 400000 prigionieri), e si sommarono ad un ingente quantitativo di rifornimenti lasciato completamente abbandonato dai soldati in ritirata.
Contenuti
Iscrizioni:
IV novembre MCMXVIII ore 13
La guerra contro l'Austria-Ungheria che sotto
l'alta guida di S.M il Re Duce supremo l'esercito
italiano, inferiore per numero e mezzi iniziò
il XXIV maggio MCMXV e con fede inrollabile e tenace
valore condusse ininterrotta ed asprissima per XLI
mesi, è vinta.
La gigantesca battaglia ingaggiata il XXIV dello
scorso ottobre ed alla quale prendevano parte
cinquantuna divisioni italiane tre britanniche,
due francesi una czeco-slovaca ed un reggimento americano
contro settantatrè divisioni austro
ungariche, è finita.
La fulminea arditissima avanzata del ventinovesimo
corpo di armata su Trento sbarrando le vie della
ritirata alle armate nemiche del Trentino travolte
ad occidente dalle truppe della settima armata e
ad oriente da quelle della prima, sesta e quarta,
ha determinato ieri lo sfacèlo totale della fronte
avversaria.
Dal Brenta al Torre, l’irresistibile slancio della
dodicesima, dell’ottava, della decima armata e delle
divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro
il nemico fuggente.
Nella pianura S.A.R. il Duca d’Aosta avanza
rapidamente alla testa della sua invitta terza
armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già
vittoriosamente conquistate che mai aveva perdute.
L’esercito austro-ungarico è annientato: esso ha
subito perdite gravissime nella accanita resistenza
dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità
ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché pe
intero i suoi magazzini e i depositi; ha lasciato finora
nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con
interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti
del mondo risalgono in disordine e senza speranza
le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
Comando Supremo
Generale Diaz
Simboli:
Rosa, stella d'Italia
Il 10 febbraio 2014, a seguito di una piena del fiume Taro, il Ponte detto del diavolo è stato chiuso.
A Gramignazzo esiste l’unica via di collegamento fra il territorio di Sissa e quello della vicina Roccabianca. Fino agli anni Trenta i collegamenti fra le due sponde erano assicurati da servizi di traghettamento a fune situati principalmente a Borgonovo. Nel 1936, con l’inaugurazione del ponte di Gramignazzo, sono notevolmente migliorate le relazioni fra i due vicini territori che per dirla con le parole di Giovannino Guareschi distavano “a un tiro di schioppo” ma il lungo isolamento è ancor oggi evidente nella sostanziale diversità dei dialetti parlati sulle due opposte rive del Taro. Il ponte a tre campate, sormontate da altrettante arcate, durante l’ultimo conflitto bellico, prese il nome di “Ponte del Diavolo” per la sua resistenza ai ripetuti bombardamenti.